Una pagina al giorno
di Daniele Lucchini



Come la maga Circe


Ormai si vive in uno stato di ininterrotto procurato allarme. Nei paesi occidentali si è capito che, tenendo la gente in perenne stato di paura attraverso i mass media, si ottiene molto di più che con le politiche illiberali. E dunque periodicamente, a frequenze sempre più brevi, ecco nuove campagne di panico in pompa magna, prevalentemente a sfondo sanitario, facendo leva sull’atavico terrore dell’uomo per la malattia – con ottimi risultati.
Ultimamente si sono così strombazzati gli allarmi per le conseguenze del riscaldamento globale, per il morbo della mucca pazza, per la pandemia dell’influenza aviaria. Certo non devono essere cose del tutto innocue, ma la loro incidenza si è finora rivelata talmente ridotta da causare meno danni di un normale malanno stagionale.
L’ultima in ordine di tempo è la febbre suina. Per dimostrare che stavolta non scherzano, molti governi hanno stretto accordi con le lobby farmaceutiche per dispensare ai più meritevoli un apposito vaccino non testato, il quale finora ha causato più inconvenienti del virus stesso.
Non ho capito bene come si dovrebbe manifestare questa variante influenzale, ma, non volendo correre terrorizzato ad un già intasato pronto soccorso al primo starnuto, ho stabilito che sinché non inizierò a grugnire non mi devo preoccupare. Nel frattempo mi sto documentando; la maggiore autorità in materia è Omero. Nell’Odissea narra inequivocabilmente che Ulisse sfugge al contagio suino, diffuso da Circe tra i suoi compagni, grazie ad un’erba procuratagli dal dio Ermes: « Detto così, Ermes mi porse il farmaco, strappandolo dalla terra, e me ne mostrò la natura. Nella radice era nero e il fiore era simile al latte. Gli dei lo chiamano moli e per gli uomini è duro strapparlo; ma gli immortali possono tutto » (Odissea, X 302-306).
Ho in mente di brevettare il nome, Moli della Circex, e di promuoverlo per posta elettronica; se, diciamo, su 350 milioni di invii abboccherà anche solo qualche migliaio di gonzi, passerò anch’io i prossimi anni spaparanzato a Cuba a farmi coccolare da uno sciame di ninfe d’ebano.



da Occidente al tempo del colera



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