(pubblicato originariamente su Caffè Mantova il 23 aprile 2003)
Sul finire di aprile il Lago superiore manifesta già per intero la sua bellezza. Verdiscono tutte le sponde: erba, faggi, pioppi, salici, canneti. Le canne sono la vegetazione prevalente; più su, verso Belfiore, formano labirinti galleggianti talmente intricati che si rischia di perdersi, pur se in poche centinaia di metri.
Quando la giornata è buona, benchè a Mantova l’aria non sia mai tersa come sulle rive dell’oceano, le verzure e le fronde si specchiano nelle acque ferme del Mincio come in una tela di Monet, patinata dal grigiore dell’umidità sempre presente.
Se si è fortunati, una lieve brezza farà stormire le foglie e sarà sottofondo ai cinguettii e chicciolii tutti diversi tra loro delle specie che nidificano in questa palude. E rane. Dopo anni di esilio sono tornate anche loro e, seppur ancora spesso timidamente, stanno ripopolando i suoni aerei del loro gracidare.
Sembra un disturbo la presenza dell’uomo, ma, a pensare che ad appena qualche decina di metri c’è la città con l’invadenza dei suoi rumori, è da rallegrarsi che sopravviva quest’oasi.
Basterebbe però non sapere dell’esistenza del polo petrolchimico, che da decenni avvelena criminalmente e impunemente la palude e i suoi muti abitatori. Molte specie di pesci sono sparite e chissà se mai ritorneranno.
Fortunatamente per lui, non vedendo il mostro che sbuffa idrocarburi, il turista, o meglio il viaggiatore, di tutto questo scempio è completamente ignaro e, se ha il buon gusto di provare la semplice superba cucina locale, può ugualmente ancora assaporare prelibatezze come il pesce gatto, il branzino o il luccio, almeno fin che dura il commercio con gli allevamenti ittici svedesi.
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